Lo Specchietto

I Dieci Comandamenti, parte 1

Dal libro dell’Esodo (Esodo 20:2-17) “I Dieci Comandamenti”

2«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile:
3Non avrai altri dèi di fronte a me.
4Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. 5Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. […]


7Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.


8Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. 9Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; 10ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro. […] 11Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato.


12Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà.
13Non ucciderai.
14Non commetterai adulterio.
15Non ruberai.
16Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
17Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».

La riflessione allo Specchietto

Questo è certamente uno dei passi più interessanti fra quelli “inflazionati” nel catechismo. I 10 Comandamenti sono intriganti, profondi, celano in sé dettagli che, una volta scoperti, non possono non essere condivisi. Proviamo ad approfondirli un poco. Il “Decalogo”, inoltre, lo possiamo trovare in Deuteronomio 5,1. Buona lettura!

Un popolo in viaggio. Un dono per non perdersi.

Il viaggio verso i Comandamenti

Mettiamo in chiaro il contesto storico. Gli Ebrei, grazie a Mosè, sono fuggiti dalla schiavitù d’Egitto, hanno attraversato il Mar Rosso e sono in viaggio verso la “Terra Promessa”. Nonostante tutto ciò, fra il popolo serpeggia l’incertezza, la rabbia, il dubbio ad ogni occasione, che Mosè puntualmente dissolve con un intervento “divino”.

Non è un viaggio semplice, non tanto per il cammino nel deserto quanto piuttosto per la necessità di “sentirsi protetti”. In tutte le difficoltà, c’è un filo conduttore spesso unico: il sentirsi, percepirsi, abbandonati. Dio, nonostante agisca continuamente in favore del popolo eletto, viene percepito come lontano, quasi distratto. Volendo fare un salto in avanti, sarà Gesù a mostrare il lato “d’Amore” di Dio, poiché sino a quel momento sarà il Dio di Giustizia, di Potenza, di Salvezza.

Il deserto, inoltre, è il simbolo dell’essenzialità, del guardarsi dentro alla ricerca del solo necessario. Non serve appesantirsi di un bagaglio pesante che man mano si rivelerà inutile. Come vedremo in più occasioni, il viaggio durerà 40 anni, numero che simboleggia “tanto tanto tempo”, come 40 giorni e 40 notti saranno il tempo che Mosè passerà sul Monte Sinai prima di ricevere le Tavole della Legge.

Arriviamo quindi al punto centrale. Qualunque sia il modo con cui vogliamo chiamare i Comandamenti (Parole, Decalogo, ecc.), Dio dona qualcosa di prezioso al suo popolo, una guida per “camminare” spiritualmente con lo sguardo rivolto sempre verso di Lui. Nei prossimi paragrafi, vedremo meglio queste dieci “Parole”. Per adesso, limitiamoci a dire che gli Ebrei, in tutta risposta a questo dono, si costruiscono un “idolo” d’oro, un vitello che “racchiuda” Dio, che prenda il suo posto, poiché “Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto!

Ascolta, Israele

Mosè e i Comandamenti

In Deuteronomio 5, 1, l’altra “versione” del Decalogo, vengono scritte due delle parole più belle che si possano trovare nella Bibbia: “Ascolta, Israele“. Mosè, prima di condividere le Tavole, chiede al popolo un atteggiamento preciso: “Ascolta“. L’atteggiamento dell’ascolto non è cosa semplice, anche oggi a migliaia di anni di distanza. Spesso ci ritroviamo a credere di “ascoltare” gli altri, ma ancora più spesso, in realtà, non ascoltiamo che noi stessi, pronti a rispondere a qualcosa o a qualcuno, qualsiasi cosa venga detta.

Facciamo un esempio pratico. Molto pratico.

Riunione di condominio. Tutti riuniti intorno a un tavolo (oggigiorno con mascherine e gel ovviamente) o in cerchio. Uno dei tanti parla, espone le sue idee. Gli altri lo guardano. Poi rispondono (si spera ognuno aspettando il proprio turno), magari a seguito di quanto sentito.

Mhmmm, no.

Spesso non avviene così, poiché mentre uno parla, l’altro sta già preparando la risposta. A priori. Come direbbe il grande Pirandello: “Noi pensiamo di intenderci, in realtà non lo facciamo affatto“. Questo perché manca una cosa semplice: l’atteggiamento d’ascolto. Ma torniamo al nostro passo.

Dio non vuole “sprecare parole”, quando agisce vuole essere al centro della nostra attenzione, poiché tutte le cose importanti meritano il nostro sguardo e le nostre orecchie. Dobbiamo essere noi, per primi, a metterci in ascolto dei Comandamenti, poiché altrimenti rimarranno sterili frasette su pietra senza particolare significato.

L’ascolto è il primo passo per mettersi in gioco nella nostra relazione con Dio e fra gli uomini: significa non perdersi in altro, significa comprendere ciò che ci viene detto, significa poter agire con consapevolezza. Non a caso Dio ci ha fatto con due orecchie ma una bocca sola: dobbiamo essere capaci, e umili, di ascoltare almeno il doppio di quanto parliamo.

Ecco, “Ascolta, Israele” è l’azione propedeutica per poter agire con consapevolezza, per conoscere meglio gli altri, noi stessi e Dio stesso, poiché è solo dedicandoGli tutta la nostra attenzione che potremo dire con cognizione: “Tu sei il Signore.”

I primi tre. I secondi sette. Le parole da “osservare”

Entriamo più nel vivo dei Dieci Comandamenti, mettendo subito in chiaro una cosa: non si dividono 5 e 5, come spesso lo si vede nei disegni; infatti, più correttamente, hanno un raggruppamento diverso ben preciso.

I “primi” tre sono le “Parole” necessarie alla relazione Dio-Uomo, mentre i “secondi” sette in quella Uomo-Uomo. Già, nonostante esista la simmetrica e perfetta suddivisione 5 – 5, il Decalogo è più correttamente diviso in 3 – 7.

L’ordine, ovviamente, non è casuale. Nonostante tutti siano “cogenti”, se mi passate il termine, possiedono una gerarchia che non può essere dimenticata in alcun modo. Ancora ricordo con forza quanto il mio vecchio parroco disse, a una formazione, che spesso le persone sono molto più preoccupate del sesto comandamento piuttosto del quarto, avendo al centro dei loro pensieri sempre la difficoltà “degli atti impuri”, ma tralasciando un più grave “abbandono” o maltrattamento dei genitori.

Altra cosa molto interessante. Le dieci Parole (nella tradizione ebraica vengono sempre chiamate così e non “Comandamenti”), contrariamente a quanto si creda, non sono state propriamente scritte sulle tavole. Neppure incise. Queste, infatti, “foravano” la pietra, ne rendevano trasparente lo spazio. Cosa cambia? Molto, moltissimo. Una delle tante interpretazioni dei Comandamenti afferma che sono la via per “osservare” Dio. A parte la bellezza del duplice significato di osservare (guardare e rispettare), dobbiamo prendere alla lettera tale affermazione: quelle parole, essendo “forate”, permettevano di guardarci dentro e vedere ciò che si nascondeva dietro le stesse, ossia Dio. Le Parole sono davvero il tramite per guardare Dio, poiché osservandole, in tutti i sensi, noi vediamo Dio.

Parole o Comandamenti?

Papa Francesco, qualche anno fa, scrisse diverse catechesi sui Comandamenti. Ne parafraso qui una piccolissima parte, che ritengo decisamente affascinante.

Partiamo dai termini. La Bibbia non parla del Decalogo come “Comandamenti”, bensì come “Parole”. “Dio allora pronunciò tutte queste parole” (Esodo 20,1). Parole, non comandi. A leggerli anche con poca attenzione, non avremmo problemi a considerarli degli ordini. Eppure Dio non ci comanda 10 cose.

Come dico sempre ai bambini in classe, le parole hanno un significato, una storia, un uso spesso unico e peculiare. Nel passo dell’Esodo, ne ritroviamo un valido esempio. Il comando è qualcosa che non comporta una risposta, non considera un dialogo, perché finisce lì dove inizia. La parola, al contrario, costruisce un confronto, una relazione che mette in comunione anime differenti e simili. Le parole costruiscono amore, educazione e collaborazione. Il comando è uno sterile ordine dopo il quale non si può costruire nulla e, spesso, rischia di non essere compreso nel suo significato.

Dio, attraverso il Decalogo, vuole instaurare con il popolo eletto una relazione, l’alleanza appunto, e non ottenere una massa di servi o schiavi pronti a ubbidire a ogni comando. Vuole persone libere, pensanti, capaci di amarlo gratuitamente e senza nulla in cambio, proprio come fa Lui con noi. CI lascia liberi di ascoltarlo, così da essere ancora più liberi nel seguirlo, con consapevolezza per l’appunto, come scritto in precedenza.

Volendo concludere: Dio ci vuole figli, e non schiavi/servi, poiché i primi possono accogliere nel cuore l’amore del Padre che vuole proteggere ciò che ritiene prezioso ai suoi occhi, mentre i secondi vedranno sempre e solo l’oppressione di un padrone che ordina e comanda,.

Qualche “Parola” finale

Con queste ultime riflessioni, finiamo questo primo commento sui Comandamenti. Nel prossimo articolo, che spero di scrivere a breve, mi piacerebbe ripartire dalle parole di papa Francesco.

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Vi ringrazio del tempo e dell’attenzione. Buon proseguimento!

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