I Dieci Comandamenti, parte 2
Eccoci al secondo appuntamento sul famoso Decalogo (parte 1). In questo articolo, inserirò la versione del Deuteronomio, mentre per quella dell’Esodo vi rimando alla prima parte. Come già anticipato, prenderò spunto dalle catechesi di Papa Francesco proprio su questo tema.
Dal Libero del Deuteronomio (Dt 5, 1-22) “I Dieci Comandamenti”
1Mosè convocò tutto il popolo d’Israele e disse: ‘Ascolta, popolo d’Israele, le leggi e le norme che oggi ti comunico: […]
6‘Il Signore disse:
‘Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto
uscire dall’Egitto, dove tu eri schiavo.
7‘Non avere altro Dio oltre a me.
8‘Non fabbricarti nessun idolo, di qualsiasi forma, che rappresenti quel che è in cielo, sulla terra o nelle acque sotto la terra. 9Non devi adorare né rendere culto a cose di questo genere. […].
11‘Non pronunziare il nome del Signore, tuo Dio, per scopi vani, perché io, il Signore, punirò chi abusa del mio nome.
12‘Rispetta il giorno di sabato e consacralo a me, come io, il Signore, tuo Dio, ti ho comandato: 13hai sei giorni per fare ogni tuo lavoro; 14ma il settimo giorno è il sabato consacrato al Signore, tuo Dio. Non farai nessun lavoro […]. Così il tuo schiavo e la tua schiava potranno riposarsi come te. […].
16‘Rispetta tuo padre e tua madre, come io, il Signore, tuo Dio, ti ho comandato, perché tu possa vivere a lungo ed essere felice nella terra che io, il Signore, tuo Dio, ti do.
17‘Non uccidere.
18‘Non commettere adulterio.
19‘Non rubare.
20‘Non testimoniare cose non vere contro nessuno.
21‘Non desiderare la moglie di un altro. Non volere per te quel che gli appartiene: né la sua casa, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino’.
22‘Il Signore pronunziò queste parole con voce potente davanti a tutta la vostra assemblea, sul monte, dal fuoco, dalla nube e dall’oscurità, e non aggiunse altro. Poi scrisse queste parole su due tavole di pietra e le consegnò a me.
La riflessione allo Specchietto
Il Decalogo, come già detto molte volte, offre numerosi spunti di riflessione, interessanti e peculiari. Volendo riprendere un solo concetto dell’articolo precedente, dovremmo più correttamente parlare di Parole piuttosto che Comandamenti, poiché sono un atto d’Amore di Dio nei nostri confronti. Il popolo è alla ricerca della felicità, di qualcosa che possa renderli definitivamente liberi, sia a livello fisico che spirituale. Dio li ha fatti fuggire dalla schiavitù d’Egitto, donando così la prima “felicità”; con il Decalogo offre agli Ebrei la seconda “felicità”, la libertà spirituale di comprendere il dialogo che Dio ha aperto con loro.
“Non avrai altro Dio all’infuori di Me”
I primi tre Comandamenti parlano di come l’uomo deve rapportarsi con Dio. Questi mette subito in chiaro le cose: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dall’Egitto, dove tu eri schiavo. 7‘Non avere altro Dio oltre a me.” Potremmo dire che il Padre “soffre” di gelosia. Ci ama a tal punto che non può dividerci con altri. Questo Amore nasce da lontano, così lontano che il mondo non era ancora popolato da alcun umano.
Nella creazione, ogni giorno Dio crea qualcosa di “buono”, ma solo con l’uomo arriva ad affermare di aver fatto qualcosa di “molto buono”. Lui ci ha “animato” con il suo soffio, con una parte di sé, ci ha resi “a sua immagine e somiglianza“. Non ci ha resi solo creature, bensì Figli, parte della stessa essenza. Questo rende chiaro come Dio voglia ricordare come ci segua da sempre, e per sempre, nonostante ogni tanto possiamo pensare diversamente.
Come Padre, conosce bene i pericoli che si nascondono oltre l’Amore “domestico”. Il maligno è dietro l’angolo, pronto a dividerci con piccole verità miste a grandi bugie. Come Padre, vuole mettere in chiaro che al centro della nostra vita, del nostro pensiero, deve esserci sempre Lui, non perché sia vanitoso, ma perché così non rischiamo di guardare “altro” di pericoloso.
Viviamo in una società dove gli idoli vengono messi in bella mostra ogni giorno. Ci servono per compensare un vuoto, una mancanza che ci fa male. Cosa è questa mancanza? Tante cose… l’amore, la felicità, la meraviglia o l’autorealizzazione. In tutti questi casi rivolgiamo, lo sguardo verso questi “idoli” terreni, più immediati ma, al contempo, finti, falsi, perché costruiti da altri uomini per aver qualcosa in cambio, e non come l’Amore gratuito di Dio.
“Non nominare il nome di Dio invano”
Nei primi incontro del Catechismo, si condivide l’importanza del nome. Questo ci porta dignità, esistenza, ci dà un posto nell’universo. Anche il Decalogo mette in chiaro che il nome di Dio non può essere, per questo, utilizzato senza cognizione di causa.
Non sono un appassionato di lingue, ma le studierei volentieri per comprendere meglio alcune “interpretazioni” bibliche. Guardiamo nello specifico: “Non pronunziare il nome del Signore.” Questo viene tradotto da un’espressione con un significato un po’ diverso, letteralmente “non prenderai su di te, non ti farai carico”. Proseguiamo un poco: “invano” vuol significare a vuoto, senza alcuna cosa dentro. Associando quindi le due cose, non dobbiamo pronunciare in maniera vuota il nome di Dio. Non dobbiamo svuotarlo della Sua dignità, volendo usare altre parole.
Facciamo un sillogismo: se Dio è Amore e noi lo svuotiamo del suo significato, allora anche l’Amore sarà sterile, non “contagioso”. Comprendere l’importanza del nome del Padre significa, quindi, fare in modo che anche la nostra capacità di amare non si disperda nel nulla, poiché essa viene da Dio (sempre per il discorso che noi siamo in parte essenza di Dio grazie al suo soffio). L’amore è ciò che rende la nostra vita vera, piena, colma di significato, svuotarne la sorgente sarebbe come staccare la spina al calore e alla tenerezza, lasciando solo freddi e ruvidi gesti, per l’appunto, vuoti.
Cosa significa allora “prendersi concretamente su di sé il nome di Dio?” Vuol dire farsi carico delle responsabilità che un così grande dono richiede. Chi nella storia ha preso completamente questo carico? Risposta facile e da “Catechismo”: Gesù Cristo. Questi ha ricordato e evoluto il concetto di nome, dandone di nuovi alle persone più vicine a lui, poiché consapevole dell’importanza della nuova dignità agli occhi di Dio: non una nuova vita, ma un nuovo obiettivo.
“Ricordati di santificare le feste”
La terza Parola del Decalogo sottolinea l’importanza del giorno del riposo. La “santificazione delle feste”, naturalmente, non vuol significare “di fare qualcosa per esse”, quanto piuttosto di “goderne” l’essenza profonda. La festa domenicale, per noi Cattolici, è il centro del “riposo del giusto”, ossia di colui che, svolto il proprio lavoro, non deve fare altro che “riempirsi” di contemplazione di quanto fatto.
Il riposo, al giorno d’oggi, non è affatto così semplice come sembra. Quante volte, tornati da vacanze X, ci ritroviamo a dire “siamo più stanchi di quando siamo partiti”. Ci siamo davvero riposati? O ci siamo limitati a fare qualcosa di diverso da quello “obbligato” per vivere? C’è una ricerca di viaggi, feste, divertimento a ogni costo, quasi che, senza, la nostra vita perda di significato, tempo prezioso.
Come dice papa Francesco, questa ricerca spasmodica di “altro” può essere una “fuga dalla realtà”, nella speranza di dimenticare ciò che facciamo per qualche ora. Ma il riposo di Dio al settimo giorno fu così? Si riposò per cambiare per poche ore la sua vita? No, si riposò per guardare il bello che aveva fatto, per godere della bellezza genuina delle cose. Per noi può essere godere della propria famiglia, nuda e cruda, senza “distrazioni” a tutti i costi. Personalmente penso che lo stare insieme senza un qualche obiettivo “diverso” spaventi più di poche persone. Obbliga a mettere al centro ciò che si cerca di evitare, di tirar fuori problemi che si preferisce mettere da parte finché è possibile.
Divertirsi significa anche fare nulla, poiché si gode della sola presenza di chi abbiamo vicino. Il riposo del Decalogo è proprio questo: benedire la vita qualunque essa sia, poiché può riempirti il cuore di ciò che durerà per sempre… e non per il tempo della crociera organizzata a tutti i costi.
“Rispetta tuo padre e tua madre”
Per il IV Comandamento vorrei partire da qualcosa di molto personale. In un altro articolo, ho condiviso un episodio di tanti anni fa, con protagonista una anziana signora vincitrice ad una tombola. Mai occhi furono più felici per una cosa che per tanti altri non sarebbe stato altro che normale. Ma fu proprio in quelle occasioni, nelle feste per gli anziani soli, che compresi il significato di “famiglia assente”. Nonni o no, signori e signore lasciati a se stessi, in balia della solitudine e della routine, in attesa magari di una qualche telefonata dai figli.
Mia madre faceva sempre la battuta dopo aver chiamato nonna: “ho timbrato il cartellino”. La chiamava tutti i giorni, e nonna non aveva un carattere facile. Ma lo faceva, sempre. Ogni settimana andava a trovarla per fare una passeggiata nel mercato, per poi tornare prima di pranzo. Ecco, oggi in questo esempio vedo il comandamento “onora tuo padre e tua madre“, il “peso” di un’esistenza che ti ha dato la vita che oggi stai realizzando. Grazie a mia madre posso comprendere cosa significhi dare quella dignità a coloro che la società mette man mano in disparte, nella misura della loro (in)utilità sociale.
È la prima parola del decalogo nel rapporto con il prossimo. Non è un caso, ovviamente. Prima di tutti, prima di ogni altra persona, dobbiamo considerare come “prossimo” coloro che ci sono stati più vicini nella nostra vita, che ci hanno cresciuti, accuditi o, ahimè, in tanti casi, maltrattati. Ma nonostante ciò, saremo noi a prenderci il carico di quelle vite così “pesanti” perché piene di esperienze, e metterle sulle spalle proprio come Cristo ha portato su di sé ognuno di noi durante la sua Passione.
Ci prendiamo un’altra pausa
Personalmente mi dà fastidio concludere avendo iniziato la prima Parola del secondo gruppo… ma vorrei evitare di creare troppi articoli spezzettati. Ci fermiamo qui, prossimamente scriverò la terza e ultima parte del Decalogo nella speranza di stimolare in voi sempre una certa quantità di curiosità ed interesse.
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Vi ringrazio del tempo e dell’attenzione. Buon proseguimento!