L’ultima cena: la Pasqua di Gesù
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 22, 14-20) “L’ultima cena”
14Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, 15e disse loro: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, 16perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». 17E, ricevuto un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e fatelo passare tra voi, 18perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio».
19Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». 20E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi».
La riflessione allo Specchietto
Eccoci qui con un nuovo appuntamento della sezione “Lo Specchietto“. Oggi vedremo uno dei passi più famosi e importanti per la fede cristiana: l’ultima cena. Proveremo a discuterne alcuni significati, parallelismi e, perché no, qualche ripercussione sulla nostra vita di tutti i giorni.
Buona lettura.
Una festa rovinata… o solo rimandata?
Solo qualche frase per questo primo paragrafo. Immaginiamo la scena: è festa, la tavola è pronta e tutti stanno festeggiando. Gesù è con loro, ma la sua faccia è seria. Poi, senza alcun preavviso, afferma che non festeggerà più con loro.
Gelo (o perlomeno così immagino).
Gli passano un calice, magari per sdrammatizzare, per buttarla in “caciara”, poiché non è il momento per essere tristi. Possiamo immaginare i pensieri degli apostoli: “Gesù è stressato, ha tanti pensieri per la testa, mai ‘na gioia” ecc. Eppure, anche con il vino in mano, Cristo non demorde, prosegue con il suo filo di pensieri che, probabilmente, non viene compreso dai presenti. “Prendetelo e fatelo passare tra voi, 18perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite“.
Ora lo stupore è forte. Nel pieno della festa, Gesù sta facendo qualcosa che non sembra c’entrare nulla. Gli sguardi sono su di Lui, nel tentativo di comprendere le motivazioni. Prosegue: “Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me“.
Festa “rovinata”… o solo rimandata?. Passerà non poco tempo prima di avere degli apostoli consapevoli del gesto e del significato. Ma da qualche parte bisognava pur iniziare no?
Poche parole, una fede millenaria
L’ultima cena si “liquida” in davvero poche righe. Gesù dice qualche parola, prende il calice, prende il pane, tutto finito. Questo passo mi fa venire in mente un’altra situazione: “Pregando, non sprecate parole” (Mt 6, 7-8). Gesù, insieme ai suoi più stretti amici (che lo tradiranno, lo rinnegheranno e tante altre belle cose), esterna la sua gioia di stare insieme, attorno a ciò che conta, attorno a uno degli atti d’amore più grandi della storia: la Pasqua nella quale Dio ha rinnovato la sua predilezione per il popolo ebraico.
Mi capita spesso di dire ai miei alunni “Gesù ci dice chiaramente una cosa: la chiarezza è sempre la via migliore. Per chiedere un nuovo paio di scarpe, un gioco, non inizieremo a dire ai nostri genitori: “ieri stavo giocando a pallone con i miei amici. Mentre correvo, mi sono accorto che qualcosa mi faceva male al piede. Ho controllato e, nonostante queste scarpe mi piacciano moltissimo, forse sono un po’ strette.” “Tesoro, le abbiamo comprate la settimana scorsa e sono un numero più grande di quello che porti” “Certo mamma, ma se mi si rompono? Come faccio? Dovrò averle di riserva no?” Potremmo continuare per ore ma, per quanto mi piaccia la negoziazione, la scelta migliore sarebbe dire: “Mamma vorrei quelle scarpe”. Punto.
Chiunque lavori con i bambini, può ben capire come le loro richieste siano spesso evidenti come i neon de “Las Vegas”. Già dalle prime parole si possono intendere le loro intenzioni e il giro di parole diventa, per questo, inutile se non fastidioso. Sii diretto, schietto, chiaro, sincero. Dio conosce già ciò che vogliamo, non serve circuirlo con parole umane che non servono, non dobbiamo provare a ingannarlo con giustificazioni o motivazioni fin troppo evidentemente superflue.
L’ultima cena è la sintesi di quelle parole proferite in Matteo 6. Gesù parla bene e razzola anche meglio, perché, nonostante la consapevolezza del suo destino, rimane non razionale, ma nel segno dell’Amore per coloro che a di fronte, i quali sono ancora apostoli “acerbi”, bisognosi di attenzioni. Sino all’ultimo, vuol far capire ai presenti che non dovranno perdersi fra le parole, e nel “pratico”, fra i gesti: pane e vino saranno più che abbastanza per unirsi a Cristo nella sua Gloria.
Parallelismi: somiglianze e differenze
Gesù ha passato tre anni a evangelizzare fra le persone. Ha subito trabocchetti e ingiurie, ha guarito e resuscitato… eppure, nonostante ciò, molti ancora dubitano, per mancanza di fede o per convenienza. La Pasqua di Gesù è veramente il memoriale della fuga dall’Egitto. Come gli ebrei, nella lunga attesa delle Dieci Parole al monte Sinai, rinnegarono il vero Dio per uno più “fruibile” e “terreno”, gli apostoli, nonostante la “nuova” Pasqua universale (che vedremo nel prossimo paragrafo), arrivano a rinnegare Gesù tornando, addirittura, alla vita di prima (parliamo delle apparizioni negli “Atti degli Apostoli”).
Ritengo che sia davvero interessante questo nuovo parallelismo. Normalmente si parla delle differenze fra la Pasqua ebraica e quella cristiana, ma raramente si mettono in relazioni le “somiglianze”. Gesù è la nuova alleanza di Dio, quel Dio che ha saputo attendere il suo popolo negli anni in cui il figlio evangelizzava, che è stato “tradito” per qualcosa di più immediato, per un dio materiale: prima un vitello e successivamente 30 denari. Nonostante ciò, Dio/Gesù offre prima la Terra Promessa, poiché non rinnega se stesso, e dopo la “pace” nella sua prima apparizione ai discepoli, piuttosto che insultarli per tutto quello che avevano fatto.
Proviamo ancora a vedere delle somiglianze nelle differenze. Piuttosto che sottolineare come la Pasqua ebraica sia una cena con alimenti specifici, mentre la nostra è una celebrazione dell’ultima cena, consideriamo questo. Gli Ebrei hanno le erbe amare per ricordare la sofferenza della schiavitù, il pane azzimo per la fretta di partire, l’agnello per il sacrificio e così via. Noi abbiamo la Messa, certo, ma anche questa è una “cena” a tutti gli effetti. Gesù istituisce, attorno alla tavola, un mistero ripetibile sempre e ovunque, senza particolari “fronzoli”. Pane e vino: il cibo più essenziale e l’emblema della festa.
Anche noi, come gli Ebrei, diamo un significato ben specifico al cibo, poiché Gesù aveva capito come questo fosse estremamente simbolico, da sempre nella storia dell’uomo. Un cibo fondamentale proprio come l’Amore di Dio di cui dobbiamo “nutrirci” per vivere in questa prima parte del “Regno dei Cieli”.
Una Pasqua universale
L’ultima cena non è solo l’istituzione del sacerdozio, del diaconato e della liberazione dalla morte come ultima “parola”. Come se non bastasse, Gesù rende tutto ciò “universale”, un dono per tutti e non solo per il popolo eletto. Ecco l’ennesimo cambiamento epocale che Cristo porta nella sua vita. Dio non è più “esclusivo”, ma globale, poiché siamo tutti fratelli e figli di uno stesso Padre.
La religione “Rivelata” non è tale solo perché Dio si è mostrato nella sua “condizione di servo” (al servizio delle sue creature, dei suoi figli), ma perché ognuno può farne parte, può esserne parte viva e “pietra d’angolo”. Esistono ruoli e condizioni (che nei secoli si sono più volte corrotti, indubbiamente), ma Dio non parla più unicamente agli eletti, a coloro che lo invocano nel tempio, con sacrifici e preghiere sontuose. Ora anche il più povero, il peccatore, l’ultimo e persino l’ateo può rivolgersi a Lui, poiché Gesù ci ha “suggerito” di invocarlo come “Padre” e non come “padrone”.
Proprio grazie alla nostra condizione di figli, tutti noi possiamo aspirare al Regno di Dio, poiché eredi diretti del dono più grande che possiamo ricevere, ossia la vita eterna. L’ultima cena sancisce quindi, come detto, non più la liberazione dalla schiavitù di un popolo, ma l’accesso universale alla vita eterna, soprattutto per coloro che prima ne erano esclusi.
Vi do una liberazione nuova…
Eccoci quindi con qualche argomento in più sulla nostra Pasqua. Non parole di vita, certo, ma anche solo una frase impressa nella nostra mente. Come cantò bene Max Pezzali (e forse scritto più volte in altri articoli): Comprati un disco a caso che non volevi comprare, c’è una canzone che ti piacerà. Possiamo “universalizzare” questo concetto: leggiamo un passo, un sito, un libro che non conosciamo, qualcosa ci piacerà sicuramente. “La Quarta di Copertina”, da sempre, vuole essere questo: anche solo una frase fra tante che, però, rimane impressa nel cuore, nella mente.
Non servono tante parole, lo abbiamo detto all’inizio di questo articolo, anche se a volte se ne utilizzano davvero tante. Servono quelle giuste o, altrimenti, quelle che ci colpiscono. Il resto è “cornice”.
Ringrazio l’autore delle vignette di cui ho comprato il libro. Qui il link di Amazon come segno di riconoscimento.
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Vi ringrazio del tempo e dell’attenzione. Buon proseguimento!